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Immagine del redattoreGuido Grossi

I cinque passi per superare la paura


Tra le emozioni che ci portiamo dentro dall'infanzia quelle più importanti, ma fastidiose e disturbanti sono:

- le paure;

- i bisogni (da non confondere con i desideri).

Infatti le viviamo come ostacoli al sentirci interamente adulti. Delle due, quella più difficile da sentire e da esprimere, nella sua forma primitiva, è il “bisogno” in quanto ci fa sentire deboli, vulnerabili e dipendenti.

Avendo già trattato i bisogni nell'articolo “Bisogni primari – Bisogni secondari”, mi sembra opportuno affrontare ora il problema della paura dando alcune indicazioni per superarla.

Per farlo, identifico cinque “passi” fondamentali.


1 – Riconoscerla

2 – Lasciarla emergere e accettarla

3 – Manifestarla ed entrare nella situazione che ci fa paura

4 – Manifestarla ma rinunciare all'esperienza temuta

5 – Prepararsi per il successivo incontro con essa

È evidente che i passi 3 e 4 sono uno alternativo all'altro: in realtà perciò quelli da compiere sono quattro.


1 – Riconoscere la paura

Può sembrare una fase scontata ma non lo è. Spesso infatti le nostre difese, per non farci affrontare la paura, la nascondono o la mimetizzano sotto forma di ansia oppure la giustificano razionalmente.

Frasi come: “Non mi interessa apparire in televisione”, “Non ho bisogno di fare conferenze per farmi conoscere”, “Non ho voglia di andare a quella festa perché non conosco nessuno”, “Non voglio andare in vacanza lontano perché è troppo costoso”, “Non capisco chi va in vacanza da solo”, “Mi da fastidio andare a visitare una persona in ospedale” nascondono spesso resistenze psicologiche derivanti da paure più o meno profonde. Anche la parola “ansia”, che molte persone usano frequentemente, esprime una sensazione fisica (difficoltà di respiro, senso di peso sullo stomaco o sul torace, sudorazione, bocca secca, senso generale di tensione) che deriva sempre dalla paura di dover affrontare una determinata situazione (ansia da solitudine, da claustrofobia, da esposizione al giudizio altrui, da rifiuto, da esame e così via).

Come primo passo è perciò importante identificare quale paura si nasconde dietro all'ansia o al rifiuto, giustificato razionalmente, di affrontare una determinata situazione.

Quelle più frequenti, facilmente riconoscibili ma più superficiali, sono la paura:

- del giudizio;

- della solitudine;

- del fallimento;

- dell'autorità;

- di tutto ciò che può generare crisi di panico.

Quelle invece più profonde e rimosse, che possono nascondersi sotto alle paure elencate in precedenza, sono la paura:

- di lasciarsi andare

- di sentirsi piccoli manifestando soprattutto i bisogni infantili;

- di ammalarsi e morire;

- dell'abbandono e della separazione;

- dell'esprimere liberamente le proprie emozioni

Il primo passo quindi è smascherarle, diventandone profondamente consapevoli. Infatti per superarle dobbiamo, come per una ferita ancora aperta, anzitutto metterle a nudo.


2 – Lasciarla emergere e accettarla

In molti casi la paura viene riconosciuta e percepita ma si cerca poi di comprimerla e combatterla (magari anche con l'aiuto di farmaci) per evitare di incontrarla. Infatti temiamo di soffrire, di essere giudicati negativamente, perdendo così quell'aspetto di adulti “tetragoni e inossidabili” che ci sta così a cuore.

Per la maggior parte delle persone, infatti, la paura “Non va bene – È infantile – Procura ansia – Fa fare brutta figura” e così via. Tuttavia, se ci sforziamo per controllarla o soffocarla, prima o poi essa tornerà a galla ancor più prepotentemente. Anche in questo caso, infatti, vale il principio generale secondo il quale ogni emozione repressa cresce e deve trovare una via di uscita energetica in mancanza della quale può portare ad una esplosione incontrollata oppure a una malattia psicosomatica.

Per questa ragione la seconda condizione per superare la paura è accettarla, imparando a conviverci senza contrastarla e anzi utilizzandola per conoscere meglio noi stessi e soprattutto la nostra parte bambina.


3 – Manifestarla ed entrare nella situazione che fa paura

La paura, come tutte le emozioni, è l'espressione di una carica energetica e, come tale, richiede la corrispondente fase di scarica. Se ciò non avviene si crea uno squilibrio nell'energia dell'organismo che genera a sua volta altri squilibri psichici o anche fisici (contratture, infiammazioni e malattie). Se la paura non è molto forte, per manifestarla è sufficiente esprimerla verbalmente, cioè dichiararla. In altri casi quando raggiunge l'intensità del panico, l'espressione verbale è solitamente accompagnata da pianto, inquietudine, tachicardia e voglia di scappare; nulla di strano dato che il pianto e le altre manifestazioni sono forme di scarica energetica più intensa della sola verbalizzazione.

Faccio qualche esempio personale di manifestazione della paura. Quando parlo a un pubblico che non conosco, inizialmente ho sempre una leggera ansia (paura del giudizio). Quando la provo inizio l'intervento condividendola con il pubblico magari scherzandoci sopra. La reazione è sempre stata positiva (accettazione non giudicante del mio stato d'animo) cosicché ho potuto effettuare la mia esposizione con un'ansia molto minore.

Anche da giovane, quando avevo già chiaro il meccanismo della paura, mi capitava di avere molta ansia al primo incontro con una donna alla quale ero interessato. Avevo già sperimentato che cercare di mascherare la paura la faceva aumentare, rendendomi imbarazzato per tutta la serata. Non solo: anche se come risultato riuscivo a impressionare positivamente la mia compagna, ciò non serviva ad accrescere minimamente la fiducia in me stesso dato che una voce interiore diceva: “Hai avuto successo perché hai nascosto la tua imbranataggine. Quando però, prima o poi, verrà a galla quale sarà il giudizio su di te?”. Da un certo momento in poi ho provato a cambiare il modo di esprimermi dichiarando quasi subito la mia paura e, con essa, le emozioni legate ai miei limiti psicologici. All'inizio ho dovuto sforzarmi per espormi in modo così “rischioso”, ma col tempo mi è venuto sempre più naturale. I risultati sono sorprendenti: l'ansia e la paura si riducono immediatamente, riesco a godermi la serata e, solitamente, suscito nella mia compagna apprezzamento per il coraggio con il quale ho saputo mettermi in gioco. Ma il maggior vantaggio è quello di uscire da queste esperienze con una maggior fiducia in me stesso.

Spesso capita, per motivi diversi, di aver paura ad esprimere un'emozione. Se vi succede, non sforzatevi di farlo dato che la vera emozione in primo piano è la paura. Esprimete anzitutto questa e non l'emozione che ci sta sotto; facendolo infatti esprimerete anche quest'ultima. Per esempio: se io ho un grandissimo timore di dire a una persona: “Mi piaci moltissimo”, non devo sforzarmi per dirlo direttamente, ma devo essere capace di dire: “Ho una grandissima paura di dirti che mi piaci moltissimo”. In questo modo, paradossalmente, avete ottemperato alla regola di esprimere l'emozione in primo piano (la paura) e, dicendo di cosa avete paura, esprimete anche l'emozione in secondo piano (il desiderio verso l'altro). Questo vale per paure del tipo “Ho paura di chiederti una mano – Ho paura di mostrarmi debole – Ho paura di lasciarmi andare – Ho paura di deluderti”. Cioè ogni volta che un'emozione vi fa paura, anziché sforzarvi per esprimerla, manifestate la vostra paura. Così facendo infatti:

esprimerete contemporaneamente due emozioni (la paura in forma diretta e l'emozione alla quale si lega in forma indiretta) con una sola frase;

esprimendo la paura, farete un atto di coraggio che vi rinforzerà;

verificherete che la reazione del vostro interlocutore sarà quasi sempre positiva;

… e che anche se non lo fosse, verificherete che siete capaci di sopravvivere alla delusione.


4 – Manifestarla ma rinunciare all'esperienza

Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della manifestazione della paura come momento espressivo finalizzato a:

- ridurne l'entità;

- sentirsi coraggiosi per averlo fatto;

- sentirsi più forti dopo aver superato la prova.

Abbiamo cioè dato per scontato che l'individuo decida di affrontarla dichiarandola e vivendo poi la situazione temuta. Può però succedere che egli non trovi il coraggio per vivere l'evento che lo spaventa e si ritiri. Non bisogna drammatizzare questa apparente sconfitta ma considerarla come una ritirata strategica che però non fa diminuire le probabilità di vincere la “guerra”, cioè di superare la paura.

È molto importante però che, pur rinunciando all'esperienza temuta, si esprima comunque la paura come unica causa della rinuncia. Bisogna cioè avere il coraggio di ammettere con se stessi che è solo la paura che ci fa ritirare e saperlo anche dire a tutti coloro che in qualche modo partecipano all'organizzazione dell'evento temuto.

La paura cioè non deve mai essere nascosta né agli altri né tanto meno a noi stessi.

In sintesi, la rinuncia non deve tradursi in un senso di sconfitta/fallimento ma essere considerata come evitamento di uno sforzo eccessivo che, in caso di insuccesso, potrebbe far aumentare la paura nell'incontro successivo. Non bisogna pertanto combattere quando si è quasi certi di perdere la battaglia ma accrescere la propria determinazione a diventare più forti e crescere in vista della battaglia successiva.


5 – Prepararsi a un successivo incontro con la paura

Non ci si deve illudere che la paura, dopo una prima vittoria, diminuisca fino alla prossima occasione che la stimolerà. E ciò ancor più se l'individuo ha rinunciato ad incontrarla. Che cosa si deve fare dopo una prova per cercare di diminuire l'ansia con la quale incontreremo la successiva? Ecco alcuni suggerimenti.

- Riflettere facendo considerazioni positive su ciò che è avvenuto quando abbiamo affrontato la paura:

- non sono morto/a;

- ne è valsa la pena soprattutto perché sono diventato/a più consapevole e più sicuro/a di me;

- l'aver superato una prova mi ha fatto crescere il desiderio di scrollarmi la paura di dosso per sentirmi più libero.

- Tra una prova e l'altra consiglio di fare delle attività che migliorino la centratura e rinforzino la propria identità (lavoro sul respiro, bioenergetica, meditazione, yoga e così via).


Cosa devono fare invece coloro che, di fronte alla “prova”, si sono ritirate?

- Anzitutto accettare la decisione senza criticarsi.

- Conoscere meglio la paura e la propria inclinazione ad evitare situazioni “rischiose”.

- Approfittarne per sentire cosa è mancato loro, cioè di cosa avrebbero bisogno per trovare la forza di rischiare.

- Valutare bene il prezzo che si paga a fronte del vantaggio di avere evitato la paura.

- Immaginare da subito la strategia psicologica da adottare per il prossimo incontro ma, una volta immaginato, dimenticarsene per non trasformarla in una “fissazione” che rischia di accrescerla.

Dedicare spazio alle stesse attività che ho consigliato a chi ha superato la prova, inserendo magari qualche seduta di counseling o di psicoterapia.

A tutti coloro che sono facilmente soggetti a paure consiglio soprattutto di riflettere di quale meraviglioso dono naturale esse li privino: la libertà di essere ciò che essi sono... e cioè di essere interiormente liberi.

Il raggiungimento della libertà interiore, quello sì, dovrebbe diventare quasi una “fissazione” e cioè uno dei principali obiettivi della vita in quanto componente fondamentale dell'equilibrio e della felicità.

Ricordate poi che incontrando le paure psicologiche non si muore mai; si può invece morire di malattie psicosomatiche se, per contenere e nascondere la paura, blocchiamo la nostra spontaneità e quindi la nostra vitalità.

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