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Immagine del redattoreGuido Grossi

Ho bisogno d'amore


1. RICEVERLO O DARLO?

È una delle frasi che sento dire più frequentemente dai miei pazienti e che contiene il bisogno che io stesso, a 74 anni d'età, sento più forte. Per tutta la vita ho cercato soprattutto di essere amato nel tentativo di riempire il vuoto che sentivo nel petto e che, di volta in volta, assumeva le sembianze di solitudine, non-appartenenza, mancanza di radici, di protezione e di famiglia. Così facendo ho commesso lo stesso errore fatto dalla stragrande maggioranza delle persone che, dicendo: “Ho bisogno d'amore”, sottintendono che sia quello di riceverlo e ignorano invece gli effetti molto più benefici che deriverebbero dal darlo. Spesso non si prende neppure in considerazione questa alternativa poiché si pensa: “Ma come faccio a dare amore se mi sento così vuoto? Prima devo riempirmene e poi potrò darlo”. Così ho creduto anch'io per la prima metà della vita tanto più che, essendo un giovane di bell'aspetto, espansivo, sportivo e benestante, riuscivo a concentrare su di me tantissimo affetto di amici, pazienti e compagne di vita.

Col tempo ho però constatato che ricevere amore allevia solo temporaneamente il senso di vuoto. È una bella coccola, un calmante, una consolazione, una “medicina buona” che però non basta a curare la “malattia”. Tutte la volte invece nelle quali sono riuscito ad amare (donne, lavori, amici, case...) al di fuori di ogni egocentrismo, ho sentito che la mia energia vitale aumentava sensibilmente, facendo sì che il senso di vuoto e la relativa ansia si attenuassero. Da allora quando dico: “Ho bisogno d'amore” intendo sempre che ho bisogno soprattutto di sentire e dare amore.

Mi sembra importante che voi capiate a fondo questi concetti affinché non facciate la fine di coloro che, soffrendo di questo vuoto, passano la vita a chiedere amore e a cercare sollievo dall'esterno, con l'unico risultato di mitigarlo solo temporaneamente, rimanendo di fondo insoddisfatti, con il rischio di incolpare gli altri di non amarli abbastanza.


2. IL SIGNIFICATO DEL VUOTO INTERIORE

Le possibili cause della sensazione di vuoto, che moltissime persone accusano, sono molteplici ma l'analisi delle stesse, essendo complessa, non può essere trattata in questa sede. Qualunque ne sia la causa, le sensazioni ad esso legate vengono solitamente descritte così: “Mi sento insicuro, triste e spento”, ”Mi manca una struttura portante”, “Per vivere devo forzarmi dato che mi sento divorato dal vuoto”, “Non ho energia, non ho volontà, non riesco a darmi disciplina”, “Mi sento vuoto, depresso, ansioso e pigro”, “Non trovo nulla per cui valga la pena vivere”, “Mi sento quasi sempre deluso da ciò che ricevo e comunque non mi basta mai”.

Per anni ho cercato l'elemento accomunante di questi stati d'animo e solo da poco sono giunto a una mia conclusione: il senso di vuoto è espressione di mancanza di energia vitale.


3. L'ENERGIA VITALE

Per approfondire questa interpretazione del vuoto interiore dovrei addentrarmi nel capitolo dell'”energia vitale”, anch'esso troppo complesso per essere affrontato in questa sede. Mi limito perciò ad analizzare una delle sue principali espressioni, quella che Reich descrive parlando del principio universale di “carica-scarica”.

Secondo tale teoria ogni essere vivente manifesta la propria vitalità attraverso continui processi di “carica-scarica” che avvengono nelle diverse parti dell'organismo. Nell'uomo i processi più evidenti sono: la respirazione (carica durante l'inspirazione e scarica durante l'espirazione), la sessualità (carica nell'eccitazione e scarica nell'orgasmo), il movimento (carica nella contrazione muscolare e scarica nella distensione) ma soprattutto il flusso emozionale. Infatti, quando sentiamo un'emozione significa che ci siamo caricati dell'energia che successivamente l'individuo sano scarica attraverso la piena espressione dell'emozione. Questa teoria afferma anche che la fase di carica ci fa sentire pieni di energia ma è solo quella di scarica che genera in noi espansione e piacere.

Rifacendomi al principio di “carica-scarica” e avendo studiando a fondo i pazienti che manifestavano un profondo senso di vuoto, decisi di provare a vedere quali effetti positivi si potessero ottenere aiutandoli ad attuare la fase di scarica. Il risultato è stato sorprendente, anche se non facile da ottenere a causa della difficoltà che molti incontravano quando si cimentavano con l'espressione piena delle emozioni, anche le più piccole. Per farlo dovevano infatti superare la timidezza, la paura del giudizio, del conflitto e della punizione, sentimenti fortemente invalidanti.

Riuscire ad esprimere con semplicità e immediatezza le proprie emozioni, soprattutto quelle affettive, procura un aumento di vitalità che si tramuta in una maggior fiducia in se stessi, in un miglioramento della comunicazione col mondo e in in maggior piacere nello stare nella propria pelle... e di conseguenza in una sensibile riduzione del senso di vuoto.


4. L'IMPORTANTE È AMARE

Da quanto finora detto deriva che il meccanismo che produce piacere e aumenta la vitalità consiste nell'esprimere ciò che si prova ed è pertanto un processo che si svolge soprattutto al nostro interno. Da ciò consegue anche che l'importanza di quanto proviene invece dall'esterno è molto ridotta.

Il sentimento esprimendo il quale ci si sente più vivi è l'amore dato che è certamente una delle nostre emozioni più intense. “Ma amore verso chi?”. Sono portato a rispondere: “Verso chiunque” (concetto di fratellanza e di interdipendenza universale) anche se il piacere sarà tanto maggiore quanto maggiore è la carica di amore che si prova e che varia ovviamente da persona a persona, da oggetto a oggetto e da situazione a situazione.

Mi è capitato di avere in terapia anche pazienti che non traevano particolare giovamento dall'amare. Me ne sono chiesto a lungo il motivo. Mi si è chiarito non molto tempo fa con un paziente dal carattere molto generoso e capace di esprimere molta amorevolezza nella propria professione di aiuto, rivolta soprattutto ai giovani. Perché il senso di vuoto, per il quale si era rivolto a me, non diminuiva? Ho considerato più a fondo il suo modo di vivere: dieci ore quotidiane di lavoro per non meno di sei giorni alla settimana, pochissime vacanze e poco tempo per stare nella natura e fare movimento fisico. Nella sostanza una vita assolutamente inadatta alle caratteristiche del suo bambino interiore, verso il quale si comportava non considerandolo, non rispettandone i bisogni e cioè in pratica come se non lo amasse. Si trattava perciò di una persona apparentemente capace di amare in modo maturo gli altri ma non se stesso. Mi sono chiesto allora: “Ma è possibile che una contraddizione di questo tipo si possa verificare in un essere umano?”. È sicuramente possibile ma in realtà non si tratta di una contraddizione dato che chi non sa amare se stesso non sa amare veramente neppure il prossimo. Infatti anche il paziente in oggetto, pur avendo verso gli altri comportamenti che facevano pensare a vero amore, in realtà si nutriva dei rapporti di aiuto utilizzandoli per dare un senso alla propria esistenza e sostenere i propri bisogni.

È poi importante ricordare che amare non è un'azione ma uno stato d'animo del quale il primo beneficiario è la persona stessa che ama in quanto, nel farlo, si sente ricca e viva. Pertanto amare gli altri significa fare anche del bene a se stessi e quindi amarsi. In questo senso amare veramente se stessi e gli altri sono due stati d'animo che non possono esistere dissociati. S'incontrano invece molte persone estremamente amorevoli che stabiliscono con il prossimo relazioni calde e affettuose, ma il cui vero e profondo intento è quello di nutrirsi esse stesse delle proprie relazioni per sentirsi meno vuote e sole.


5. ESSERE AMATI NON COLMA IL VUOTO

Il vero rimedio per il senso di vuoto interiore è, dunque, amare. Tuttavia, poiché la maggior parte delle persone cade nell'errore di dare maggiore importanza all'essere amati, mi sembra importante spendere qualche parola in più sulla scarsa utilità, anche se accompagnata da una grande piacevolezza, del ricevere amore. Anziché analizzare il problema lo tratteggio in modo sintetico.

- Chi cerca amore si sente povero e il senso di povertà non viene alleviato dall'amore che riceve, dato che dipende dall'andarne continuamente e disperatamente alla ricerca. Così facendo, infatti, egli rimane concentrato sul bicchiere mezzo vuoto col risultato di perpetrare e aumentare il senso di “povertà interiore”.

- Chi invece dà amore è centrato sul bicchiere mezzo pieno, dato che si sente ricco nel dare, un dare che non lo impoverisce ma che genera anzi un'energia vitale che fa crescere il suo senso di pienezza.

- Cercare amore è un atteggiamento egocentrico e vagamente infantile, nel quale ci si preoccupa soprattutto della propria felicità con l'illusione che essa dipenda da ciò che arriva dall'esterno. Dare amore invece è possibile solo abbandonando l'Ego per sentirsi tutt'uno con ciò o con chi si ama.

- Anche da giovani, quando è naturale concentrarsi sul rinforzo del proprio Ego, se si è già dotati di un discreto livello di consapevolezza ci si rende conto che il rischio nell'amare rinforza la propria struttura, mentre il rapportarsi solo con chi più ci ama è una scelta nella quale si evitano rischi e possibili delusioni e nella quale, pertanto, non si cresce.


6. TEORIA E REALTÀ

A questo punto molti obietteranno che ciò che ho detto è vero ma teorico dato che la situazione che la maggior parte delle persone ha vissuto nella prima parte della propria vita, relativamente all'amore, è stata tutt'altro che una scuola dove si impara ad amare. Molti infatti provengono da famiglie dove l'amore non esisteva o non veniva manifestato. Sono poi entrati, prima come adolescenti e poi come adulti, in un mondo dove gli esempi di amore sono rari e lo stesso amore di Dio è difficilmente percepibile per chi non sia credente.

In queste condizioni è normale che un individuo non sappia da che parte si cominci ad amare ed è perciò già un buon risultato se si rende conto e accetta di aver bisogno di riceverlo.

Con pazienti di questo tipo, il compito di noi psicoterapeuti è, ancor più che con gli altri, quello di dare vero amore in modo da far conoscere loro una dimensione di vita sconosciuta. Successivamente è importante aiutarli a provare tenerezza e amore per se stessi. In questo modo imparano a conoscere il significato del verbo “amare”, applicandolo alla persona che più ne ha bisogno e che non li tradirà mai: se stessi. Successivamente possono sperimentare questa nuova capacità nei confronti del terapeuta, degli amici e dei partner, per arrivare poi ad amare anche i propri genitori, malgrado limiti e i difetti che hanno provocato loro così tanto dolore fin dalla prima infanzia. Man mano che le persone, grazie a questo percorso evolutivo, riescono ad aprire il cuore nell'amare, le loro rabbie, tristezze e insicurezze si sciolgono lasciando spazio a una nuova energia vitale.

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