Primo comandamento: ama te stesso.
Solo dopo, infatti, sarai in grado di amare Dio e il prossimo tuo.
Mi torna spesso in mente una frase riportata dai Vangeli: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". È una delle frasi più ricorrenti nelle omelie e negli scritti cristiani. Tuttavia nel citarla l'enfasi è solitamente messa sull'amore verso il prossimo e molto meno su quello verso se stessi, malgrado sia presupposto indispensabile per il primo.
A me psicologo sembra che ciò derivi dal fatto che è molto più semplice immaginare e parlare dell'amore rivolto a un'entità esterna che non dell'amore che noi dobbiamo rivolgere verso noi stessi. Per questa ragione desidero spiegare cosa significhi, secondo me, amare se stessi e come lo si possa realizzare.
A questo proposito, mi ritorna in mente un episodio che mi è rimasto impresso nella memoria pur essendo avvenuto almeno cinquant'anni fa. Allora ero cattolico praticante e avevo come padre spirituale don Mazzarino, direttore della Libreria della Parrocchia di San Carlo al Corso di Milano. Un giorno, camminando insieme per strada, parlavamo del mio fortissimo disagio psichico, fatto di solitudine, ansia, insicurezza e paure. Dopo avergli manifestato alcuni miei problemi legati alla fede e al mio comportamento come credente (soprattutto nei confronti del mio prossimo, con il quale non mi sentivo sufficientemente sincero e rispettoso) ricordo, come se fosse oggi, le sue parole: ”Guido, per ora non preoccuparti di Dio, della tua fede e del male che involontariamente puoi fare ad altri. Preoccupati invece della tua fatica, della tua sofferenza e, più in generale, della tua psiche. Fa' qualcosa, magari una psicoterapia, per trovare in te stesso più forza e più equilibrio. Quando starai meglio, quando ti vorrai più bene e sarai più a tuo agio con te e nella vita, vedrai che ti verrà naturale amare Dio e il prossimo. Per ora limitati a volerti bene, prenderti cura di te e accettarti". Ricordo quanto bene mi fecero le sue parole e, mentre ci avvicinavamo a San Carlo al Corso, gli chiesi: "Hai ancora cinque minuti per confessarmi?".
Mi guardò sorridendo e rispose: "Che cosa credi di aver fatto fino ad ora parlandomi? E credi forse che non ti abbia già dato l'assoluzione? E della penitenza non hai bisogno dato che fai già tanta fatica a vivere. Va' tranquillo con tutto il mio amore".
Ripensando a quell'incontro mi viene ancora un nodo in gola per la commozione.
"Ama te stesso". Lo ripeto in continuazione ai miei pazienti e quasi tutti mi chiedono: "Mi sembra di farlo già ma non ho grandi risultati. Cosa posso fare di più?".
Per chiarirlo utilizzo la similitudine che esiste con l'amore per un'altra persona.
La prima caratteristica dell'amore è dare molta attenzione all'altro per farlo sentire “visto” in profondità e capito. Analogamente dobbiamo fare con noi stessi e cioè rivolgere costantemente l'attenzione al nostro interno, in modo da conoscerci dal punto di vista delle nostre caratteristiche e da quello dei nostri comportamenti.
L'attenzione a se stessi serve a mettere a fuoco soprattutto i nostri bisogni profondi che fungono da bussola della nostra vita, nel senso che ci guidano nella direzione da seguire per essere felici.
La seconda caratteristica di un rapporto d'amore è l'accettazione dell'altro, così com'è, senza alcun desiderio o tentativo di cambiarlo e farlo diventare magari più simile a noi. E a questo proposito anche noi psicoterapeuti, oltre ad accettare profondamente i nostri pazienti, non dobbiamo mai cercare di spingerli ad essere come a noi sembra giusto ma solo aiutarli a capire di cosa hanno bisogno e ad essere capaci di procurarselo.
Allo stesso modo per amare noi stessi dobbiamo anzitutto accettarci così come siamo. Ogni sera dovremmo guardarci allo specchio e dirci: "Vado bene così come sono. Ho fatto tutto quello che mi era possibile e perciò mi accetto pienamente. Spero domani di avere abbastanza energia e coraggio per diventare ancora migliore".
La terza caratteristica è aiutare la persona amata ad essere felice, desiderando e accettando soprattutto la sua libertà e la sua spontaneità. L'amore non contempla mai il “possedere” ma la gioia di vedere l'altro che si realizza, acquisendo la piena libertà di essere ciò che è e cioè totalmente naturale.
Lo stesso vale nell'amore per noi stessi: dobbiamo anzitutto diventare capaci di essere felici esprimendo con immediatezza le nostre emozioni, senza temere il giudizio del prossimo né sentirci in qualche modo condizionati.
È evidente che anche colui che ama profondamente se stesso non può soddisfare da solo tutti i bisogni profondi (soprattutto protezione, guida, accudimento, gioco e amorevolezza corporea), ma deve saper chiedere e ricevere dal mondo, e cioè dall'esterno, una parte di ciò che è necessario per soddisfare tali bisogni. Tutti noi infatti, pur amandoci, non possiamo bastare a noi stessi.
D'altra parte è anche importante non cadere nell'errore opposto, cioè quello di aspettare che la maggior parte dei nostri bisogni possa essere soddisfatta dall'esterno. Usando per gioco dei numeri, direi che il 65% dobbiamo trovarlo in noi stessi e il 35% all'esterno.
Tra l'altro i bisogni profondi sopracitati provengono tutti dal periodo infantile e pertanto possono essere soddisfatti solo da una figura paterna o materna, e solo noi stessi possiamo ricoprire tale ruolo nei confronti del nostro bambino/a interiore. Oltre a questo, per diventare adulti e quindi più sicuri di noi stessi, dobbiamo sentirci in grado di stare in piedi da soli e quindi capaci di provvedere personalmente ai nostri bisogni, anche quelli profondi. Sperare eccessivamente in ciò che può arrivare dall'esterno equivale a dipenderne e non esiste alcuna forma di maturità che preveda stati di dipendenza. Per esempio se in una coppia ognuno dei partners conta soprattutto sull'altro per essere felice, nel tempo entrambi, pur volendosi bene, saranno delusi e incolperanno l'altro di non dar loro abbastanza. Coppie di questo tipo non hanno futuro.
In sintesi, perciò, volersi bene comporta soprattutto:
- darsi attenzione:
- accettarsi;
- procurarsi, soprattutto dall'interno ma anche dall'esterno, ciò di si sente di avere profondamente bisogno.
“Perché l'amore per se stessi è condizione indispensabile per riuscire ad amare le altre persone e, per i credenti, anche Dio?”.
La risposta più immediata è che se una persona non è capace di amare se stessa non può saper amare né gli altri né Dio in quanto la capacità di amare o la si ha, e allora si è in grado di esercitarla nei confronti di ogni creatura (se stessi e Dio inclusi), oppure non la si ha nei confronti di qualunque essere vivente.
È, infatti, una capacità che, una volta acquisita, ci permette di essere in “amore” con tutto ciò che ci circonda. Chi invece non l'ha ancora acquisita mantiene un atteggiamento egocentrico che prevede di vivere qualunque rapporto con l'esterno nell'ottica di massimizzare il proprio piacere, talvolta anche a scapito di quello altrui. E queste persone non riescono neppure ad amare se stesse, cioè la propria parte bambina, continuando a fare scelte che mirano a gratificare solo la parte adulta. Pertanto la condizione indispensabile affinché un individuo sia capace di amare il prossimo e Dio è che abbia superato il proprio egocentrismo, maturando la capacità di gioire della felicità altrui a partire dalla propria parte bambina.
Se ciò è facilmente comprensibile riferito all'amore per il prossimo, è più complesso trasferirlo all'amore per Dio, in quanto prevede l'amore per una presenza non concreta ma raffigurata come creatore della vita, presente ovunque e anche in noi stessi.
Anche sotto questo profilo però è ovvio che per amare Dio, cioè il “Tutto”, bisogna saper amare ogni piccola parte del “Tutto” partendo, come primo amore, dal proprio sé bambino.
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